L'esperta risponde - Trasferimento del dipendente: cosa prevede la legge
Abbiamo chiesto alle e ai nostri consulenti di rispondere alle domande più gettonate in ambito legale e amministrativo. Risponde Chiara Ferrari

Il datore di lavoro, nell’ambito del suo potere organizzativo, può decidere di far svolgere al lavoratore la prestazione di lavoro in un luogo diverso rispetto a quanto indicato nel contratto di assunzione attraverso la trasferta, il trasferimento e, in alcuni casi, anche il distacco.
Con il trasferimento si determina un mutamento, definitivo e non temporaneo, del luogo di svolgimento della prestazione lavorativa, disposto dal datore di lavoro con atto unilaterale. La definitività della modifica del luogo di adempimento della prestazione lavorativa rappresenta uno dei tratti distintivi del trasferimento, rispetto ad un altro istituto affine quale è la trasferta che si caratterizza per essere temporanea.
Il trasferimento che comporta lo spostamento del lavoratore da una unità produttiva ad un’altra necessita di essere sorretto da “comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive”. Tali ragioni devono sussistere al momento in cui il trasferimento viene deciso e devono essere oggettive, cioè non determinate da mere valutazioni soggettive. Il trasferimento disciplinare, che sia cioè ricollegabile ad una mancanza del lavoratore e non sia conseguente all’esercizio del potere organizzativo e gestionale del datore di lavoro non è, quindi, ammesso.
Modalità di comunicazione
In generale, il trasferimento non è soggetto ad alcun requisito formale e può essere comunicato anche oralmente. Ciò è di frequente superato dalla contrattazione collettiva che impone la forma scritta per la comunicazione e per l’indicazione dei motivi e talvolta prevede anche un obbligo di preavviso. Il datore di lavoro non è obbligato a fornire subito le motivazioni del trasferimento, ma se il lavoratore le richiede, è tenuto a fornirle, provandone l’esistenza e la fondatezza.
Rifiuto del trasferimento: quando è lecito
Un trasferimento legittimo non può essere rifiutato dal lavoratore: un eventuale rifiuto ingiustificato potrebbe configurare, secondo la giurisprudenza di legittimità, il rischio di una causa di licenziamento per giustificato motivo soggettivo.
Se il lavoratore ritiene che il trasferimento sia illegittimo, pur avendo la facoltà di impugnarlo formalmente nelle sedi previste, è comunque tenuto ad eseguire la prestazione lavorativa, in attesa della definizione della controversia.
Trasferimento come causa di dimissioni
Qualora il trasferimento comporti uno spostamento ad altra sede della stessa azienda distante oltre 50 km dalla residenza del lavoratore e/o mediamente raggiungibile in 80 minuti o oltre con i mezzi di trasporto pubblici, il lavoratore è legittimato a rassegnare le proprie dimissioni, configurandosi tale fattispecie come causa involontaria di disoccupazione, con la conseguenza che il lavoratore dimissionario avrà diritto a percepire l’indennità Naspi, così come chiarito da INPS con il messaggio n. 369 del 26 gennaio 2018.
La domanda di NASPI presentata dal lavoratore dimissionario per giusta causa verrà accolta dall’istituto previdenziale in via provvisoria: in un secondo momento l’istituto chiederà al percettore dell’indennità la documentazione attestante la sua volontà di “difendersi in giudizio” nei confronti del comportamento del datore di lavoro (allegazione di diffide, esposti, denunce, citazioni, ricorsi d’urgenza ex articolo 700 c.p.c., sentenze ecc. contro il datore di lavoro, nonché ogni altro documento idoneo). Laddove l’esito della lite dovesse escludere la ricorrenza della giusta causa di dimissioni, l’INPS procederà al recupero di quanto pagato a titolo di NASPI (Circ. Inps n. 163/2003).
Con il trasferimento si determina un mutamento, definitivo e non temporaneo, del luogo di svolgimento della prestazione lavorativa, disposto dal datore di lavoro con atto unilaterale. La definitività della modifica del luogo di adempimento della prestazione lavorativa rappresenta uno dei tratti distintivi del trasferimento, rispetto ad un altro istituto affine quale è la trasferta che si caratterizza per essere temporanea.
Il trasferimento che comporta lo spostamento del lavoratore da una unità produttiva ad un’altra necessita di essere sorretto da “comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive”. Tali ragioni devono sussistere al momento in cui il trasferimento viene deciso e devono essere oggettive, cioè non determinate da mere valutazioni soggettive. Il trasferimento disciplinare, che sia cioè ricollegabile ad una mancanza del lavoratore e non sia conseguente all’esercizio del potere organizzativo e gestionale del datore di lavoro non è, quindi, ammesso.
Modalità di comunicazione
In generale, il trasferimento non è soggetto ad alcun requisito formale e può essere comunicato anche oralmente. Ciò è di frequente superato dalla contrattazione collettiva che impone la forma scritta per la comunicazione e per l’indicazione dei motivi e talvolta prevede anche un obbligo di preavviso. Il datore di lavoro non è obbligato a fornire subito le motivazioni del trasferimento, ma se il lavoratore le richiede, è tenuto a fornirle, provandone l’esistenza e la fondatezza.
Rifiuto del trasferimento: quando è lecito
Un trasferimento legittimo non può essere rifiutato dal lavoratore: un eventuale rifiuto ingiustificato potrebbe configurare, secondo la giurisprudenza di legittimità, il rischio di una causa di licenziamento per giustificato motivo soggettivo.
Se il lavoratore ritiene che il trasferimento sia illegittimo, pur avendo la facoltà di impugnarlo formalmente nelle sedi previste, è comunque tenuto ad eseguire la prestazione lavorativa, in attesa della definizione della controversia.
Trasferimento come causa di dimissioni
Qualora il trasferimento comporti uno spostamento ad altra sede della stessa azienda distante oltre 50 km dalla residenza del lavoratore e/o mediamente raggiungibile in 80 minuti o oltre con i mezzi di trasporto pubblici, il lavoratore è legittimato a rassegnare le proprie dimissioni, configurandosi tale fattispecie come causa involontaria di disoccupazione, con la conseguenza che il lavoratore dimissionario avrà diritto a percepire l’indennità Naspi, così come chiarito da INPS con il messaggio n. 369 del 26 gennaio 2018.
La domanda di NASPI presentata dal lavoratore dimissionario per giusta causa verrà accolta dall’istituto previdenziale in via provvisoria: in un secondo momento l’istituto chiederà al percettore dell’indennità la documentazione attestante la sua volontà di “difendersi in giudizio” nei confronti del comportamento del datore di lavoro (allegazione di diffide, esposti, denunce, citazioni, ricorsi d’urgenza ex articolo 700 c.p.c., sentenze ecc. contro il datore di lavoro, nonché ogni altro documento idoneo). Laddove l’esito della lite dovesse escludere la ricorrenza della giusta causa di dimissioni, l’INPS procederà al recupero di quanto pagato a titolo di NASPI (Circ. Inps n. 163/2003).
Autore: Redazione